venerdì 27 luglio 2007

REVERSE CHARGE IN EDILIZIA

Per contrastare i fenomeni di evasione fiscale e contributiva che spesso si verificano nell’ambito del settore edile, il legislatore è intervenuto con il DL 223/2006 che ha approntato un meccanismo diabolico. Infatti dal 1° gennaio 2007 è entrato in vigore il sistema del cosiddetto “reverse charge”, vale a dire l’inversione del carico IVA per le imprese che operano nel settore edilizio.
In sostanza, quando un soggetto passivo IVA esegue delle prestazioni di servizi, rientranti nell’ambito del settore edile, a favore non del cliente finale, ma di un appaltatore o subappaltatore (compresa la semplice mano d’opera), non dovrà più addebitare l’IVA in fattura, ma il debitore dell’imposta sarà chi gli ha conferito l’incarico, che ne effettuerà direttamente il versamento, o, a sua volta, ne scaricherà l’onere ad un anello superiore della catena.
Le frodi che spesso avvenivano nel settore delle costruzioni consistevano nel fatto che le imprese subappaltatrici, una volta eseguite le prestazioni, poi fatturate all’appaltatore, scomparivano nel nulla, senza versare imposte né contributi. I subappaltatori garantiti dalle leggi in vigore, detraevano l’IVA sulle fatture ricevute, ed il risultato era che, sostanzialmente il committente dei lavori, tramite l’appaltatore, usufruiva di manodopera in nero, con costi più bassi rispetto a quelli delle aziende regolari, violando anche le norme sulla libera concorrenza.
Per chiarire gli aspetti più controversi relativi all’applicazione dell’inversione contabile, l’Amministrazione finanziaria si è pronunciata più volte con le circolari 28/E e 37/E del 2006 e 11/E, 19/E del 2007 nonché con le risoluzioni 148 e 172 del 2007 emesse in risposta ad interpelli dei contribuenti.
In base alle delucidazioni ottenute, per capire se si è soggetti o meno al meccanismo del reverse charge, occorre innanzitutto che l’accordo fra appaltatore e subappaltatore sia relativo ad una prestazione di servizi. La semplice cessione di beni non rientra nel presupposto della norma, nemmeno se viene prevista la posa in opera dei materiali come prestazione accessoria alla cessione e neanche se il cedente affida il servizio di posa in opera dei materiali ad un impresa terza. Sarà pertanto preferibile stipulare un contratto in forma scritta in cui venga esplicitato chiaramente qual è l’oggetto delle prestazioni.
Le prestazioni soggette alla disciplina in oggetto devono essere inquadrabili fra quelle previste nella sezione F del codice di attività ATECOFIN, cioè quelle relative ai lavori generali e speciali di costruzione, lavori di installazione e di completamento di fabbricati. Rientrano nel novero anche i nuovi lavori, le riparazioni, i rinnovi e restauri, le aggiunte e le alterazioni, la costruzione di strutture prefabbricate e di costruzioni temporanee. Quindi neanche i semplici lavori di manutenzione sfuggono all’inversione contabile, a patto che sia l’appaltatore, sia il subappaltatore operino nel quadro di un’attività fra quelle comprese nella sezione F. Ad esempio, le prestazioni di installazione e manutenzione di impianti idraulico-sanitari, anche se commissionate da un privato, e svolte da un subappaltatore su incarico dell’appaltatore, che ha contrattato con il privato stesso, sconteranno l’IVA con il metodo dell’inversione contabile. Il subappaltatore che esegue le prestazioni, le fattura senza IVA all’appaltatore, che poi presenterà la sua fattura con IVA al committente privato.
Nel caso in cui un appalto pubblico venga assegnato ad un General contractor, che normalmente affida a più imprese terze l’esecuzione dei lavori, è stato chiarito che è applicabile la normativa del riverse charge, prevista dall’art. 17, 6° comma, lett.e) del Dpr 633/72. Ciò in quanto il contratto stipulato fra la pubblica amministrazione ed il general contractor è senz’altro un appalto, mentre quello fra quest’ultimo e gli esecutori materiali è un subappalto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie