martedì 25 settembre 2007

LA RESIDENZA FISCALE, QUESTA SCONOSCIUTA

COS’E’ LA RESIDENZA AI FINI FISCALI? Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta, e cioè 183 giorni all’anno:
1) sono iscritte all’anagrafe della popolazione residente
2) hanno il proprio domicilio in Italia ai sensi del Codice Civile
3) hanno la residenza in Italia ai sensi del Codice Civile
Basta il verificarsi di una sola di queste condizioni.
L’ANAGRAFE della popolazione residente è costituita da un registro su cui sono annotate tutte le persone che vivono in un dato comune, in un certo momento.
Se si trasferisce la propria residenza all’estero, si viene cancellati da questo registro e si viene iscritti all’AIRE (ANAGRAFE DEGLI ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO).
SEMPLICE NO?
Se sei già in viaggio per il tuo municipio per trasferire la tua residenza all’estero sappi però che dal 1° gennaio 1999 non è più sufficiente l’iscrizione all’AIRE, per non essere considerati residenti in Italia. ANZI: ai fini fiscali, si presume, salvo prova contraria, che tali soggetti risiedano ancora nel nostro paese, se hanno spostato la propria residenza in uno dei territori a fiscalità privilegiata, elencati nella black list di cui si è parlato nel post precedente.
Ma andiamo a scoprire cosa dice il nostro Codice Civile a proposito del domicilio e della residenza.
L’art. 43, comma 1, definisce il DOMICILIO, come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei propri affari ed interessi, non solo economici, ma anche di carattere familiare, sociale e morale.
Pertanto, se un contribuente stabilisce la propria residenza all’estero per motivi di lavoro o studio, e, pertanto resti fuori del territorio nazionale per almeno 183 giorni all’anno, continuerà ad essere tassato in Italia, se qui resta il centro dei suoi affari ed interessi. Ad esempio, se i suoi familiari continuano a vivere in Italia o se lo stesso fa rientrare in Italia i proventi percepiti all’Estero.
La RESIDENZA invece è il luogo dove una persona ha la dimora abituale, cioè non solo permane in quel luogo, ma si può desumere da elementi obiettivi la volontà di stabilirvi il centro dei propri affari e interessi.
Quindi, mentre il domicilio può prescindere dalla presenza effettiva in un dato luogo, per avere la residenza ci vuole anche questo requisito oggettivo, oltre a quello soggettivo esaminato sopra.
Si tenga presente che queste norme sono valide erga omnes, e cioè non ammettono eccezioni, neanche per i lavoratori dipendenti residenti all’estero. Anche questi devono infatti prestare attenzione a come si muovono, per non correre il rischio di pagare due volte le tasse. La DOPPIA IMPOSIZIONE è infatti sempre in agguato e, se le tasse in Italia vi “mangiano” metà del reddito, le tasse pagate nel paese estero di residenza si possono mangiare il resto. Ad evitarvi un volo dal 20° piano per porre fine alla vostra grama esistenza, esistono però dei trattati contro le doppie imposizioni, siglati da vari stati fra loro, che consentono di evitare questo fenomeno.
Se il paese dove vi hanno spedito a lavorare non ha stipulato una convenzione con l’Italia, è prevista comunque la possibilità di recuperare le imposte pagate all’estero, tipicamente trattenute dal datore di lavoro con la busta paga, tramite il CREDITO D’IMPOSTA per i tributi pagati all’estero, come disposto dall’art. 165 del TUIR.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono residente all estero e lavoro tutto l anno in Italia.
Sono un dipendente, saro tassato in entrambi i paesi?