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martedì 29 gennaio 2008

E dopo le cartelle pazze e gli scontrini parlanti arrivano le cartelle mute! Ecco l’ultima dal mondo del fisco.

Non preoccupatevi, le cartelle mute non sono pericolose come le cartelle pazze. Ciò che manca loro è solo …. la parola… Non che solitamente ci sia un dialogo vero e proprio con le cartelle esattoriali, di solito solo comunicazioni unidirezionali di insulti e imprecazioni da parte vostra…
Ma l’ultimo grido (si fa per dire) nel panorama fiscale italiano sono proprio le cartelle mute. La loro unica colpa consiste nel non indicare, fra le informazioni fondamentali per il contribuente, il nominativo del funzionario responsabile del procedimento accertativo e della riscossione. Tutto qui. Ma non sono bazzeccole. Infatti l’art. 7 dello Statuto del Contribuente prevede che le cartelle esattoriali devono indicare “l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento”. Ma andiamo con ordine.
Lo Statuto del Contribuente è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge 212/2000.
Ora, sono passati sette anni dalla sua entrata in vigore.
Perché tutto questo baccano sul finire del 2007? E cioè dopo circa sette anni dalla norma e sette anni di cartelle esattoriali viziate per la mancanza del nome del responsabile del procedimento?
La giustizia arriva tardi, ma (alle volte) arriva. In questo caso la Corte Costituzionale con sentenza n. 377 del 9 novembre 2007 ha stabilito che l’obbligo in questione è tassativo e che pertanto le cartelle prive di quel requisito sono nulle.
Il concessionario della riscossione Equitalia è corso subito ai ripari imponendo a tutte le proprie partecipare di indicare il dato fatidico con decorrenza immediata. Era il 22 novembre 2007.
Il vero problema si è posto per le cartelle già emesse alla data del cambio di orientamento e dell’adeguamento di Equitalia. Sempre nella direttiva del 22 novembre Equitalia ha spiegato che le cartelle precedenti seppur viziate non sono comunque annullabili dal giudice ed ha lasciato presagire che se ci saranno contenziosi con i contribuenti, loro sono pronti a resistere.
Per prevenire le controversie già in atto, che al 90% si sono risolte a favore del contribuente, il Governo ha pensato bene di intervenire in via legislativa con un emendamento al cosiddetto DL “Milleproroghe” che prevede la nullità di tutte le “cartelle mute”. Ciò potrà avvenire però solo a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del “Milleproroghe”.
Fino ad allora, e comunque per le cartelle mute emesse successivamente all’ordinanza della Suprema Corte, l’unica strada aperta resta il contenzioso. In questo caso occhio alla scadenza dei termini per proporre il ricorso in Commissione Tributaria (60 giorni dalla notifica della cartella).

martedì 11 dicembre 2007

Nella lotta all’evasione fiscale la G.D.F. non è C.S.I.!

Come tutti gli anni, di questi giorni, ci tocca sorbire l’esaltazione della Guardia di Finanza in occasione della presentazione del bilancio annuale dell’attività di lotta all’evasione fiscale.
Stavolta l’occasione è stata la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico della scuola di Polizia tributaria. Qui non si vuole denigrare l’operato della GDF, che spesso fa fronte con grandi sacrifici a tutti i compiti differenziati a gravosi, ma purtroppo non possiamo esimerci dal far funzionare la testa.
Quest’anno le Fiamme Gialle hanno scoperto ben 27,7 miliardi di euro di redditi non dichiarati e un’evasione di IVA di 4,2 miliardi.
Ora, noi tutti dovremmo considerare che la cifra che lo Stato incasserà, rispetto a questa massa abnorme di tributi evasi è una parte infinitesima, una piccola percentuale. E questo dopo diversi anni di contenziosi, procedure esecutive ecc…
Appare subito evidente che c’è qualcosa che non torna in quanto suonare le fanfare per trilioni di euro di evasione fiscale e poi, sotto sotto, riuscire a incassarne solo pochi spiccioli….. non è serio!
Provo a dare una chiave di lettura della situazione.
Spieghiamo in pratica come funziona il meccanismo degli accertamenti fiscali.
La GDF come anche l’Agenzia delle Entrate esegue accessi, ispezioni e verifiche fiscali presso i contribuenti, privati, aziende ecc…
Gli operatori quindi redigono un verbale di constatazione in cui elencano i controlli effettuati e le irregolarità riscontrate ecc…
A questo punto la “palla” passa all’Agenzia delle Entrate che, in presenza di violazioni della norma tributaria, deve emettere un Avviso d’accertamento. La GDF non emette avvisi d’accertamento perché ciò non è previsto dalla legge.
Quindi è l’Agenzia delle Entrate che semmai accerta l’evasione fiscale e “tenta” di recuperare le imposte, le sanzioni e gli interessi derivanti dall’evasione stessa.
Già qui si vede una prima incongruenza: perché nel trionfo dello Stato nella lotta all’evasione fiscale si “premia” il prezioso lavoro di verifica della GDF e gli si attribuiscono tutti i meriti mentre il lavoro delle Agenzie delle Entrate, ben più tecnico, e che conduce all’atto impositivo vero e proprio, non viene quasi considerato? Misteri italiani.
Spezziamo una lancia in favore dell’Agenzia delle Entrate. Le agenzie infatti sono già da anni organizzate come vere e proprie aziende private, redigono un bilancio dell’attività svolta considerando le entrate derivanti dai recuperi d’imposta e le uscite relative ai costi del personale impiegato per l’attività di controllo e di accertamento. E i conti devono quadrare! Quindi fanno molta attenzione ai tempi e ai costi dell’attività svolta e in caso di colpe nell’impostazione di accertamenti non corretti, corrono sempre il rischio di subire una condanna al pagamento delle spese in Commissione Tributaria. Forse anche i Tribunali dovrebbero essere organizzati così…
Quello chi mi preme considerare è la differenza di obiettivo fra GDF e Agenzia delle Entrate. La prima cerca di far lievitare l’importo complessivo delle somme evase contestate nei verbali redatti in sede di ispezione, così lo Stato fa bella figura e persegue i suoi fini di propaganda anti-evasione, la seconda deve recuperare realmente i soldi dell’evasione, stando attenta ai costi del personale impiegato e correndo il rischio di non raggiungere il pareggio del bilancio a fine anno. Evidentemente una situazione del genere si presta a creare molto attrito fra Fiamme Gialle e Agenzia delle Entrate.
A ciò si aggiunga che, come anticipato nel titolo, la Guardia di Finanza non è CSI, cioè i corpi della polizia scientifica americana che vediamo in TV e che riescono sempre con tecnologie avveniristiche a scoprire i colpevoli. Purtroppo il livello tecnico dei finanzieri spesso non è all’altezza dei compiti assegnatigli per contrastare l’evasione fiscale. Spesso l’arma più efficace è l’intimidazione del presunto evasore e l’ingaggio di una la lotta psicologica per indurlo a commettere qualche errore e così smascherarsi. Chi ha subito una visita della “Finanza” sa cosa vuol dire… E mi riferisco alle sole questioni tributarie e non ai compiti di Polizia Giudiziaria per i quali i metodi sono magari più adeguati. Dicevamo… mancando la preparazione tecnica propria di chi studia e si aggiorna costantemente, come fanno i professionisti giuridici e contabili, che si occupano delle medesime discipline, è comprensibile che buona parte delle verifiche fatte dalla GDF sia magari un po’ carente sotto il profilo tecnico e teorico…. Tanto alla fine, se ci sono problemi, ci pensa l’Agenzia delle Entrate. Il risultato è che spesso l’Agenzia delle Entrate, per non dover pagare di “tasca sua” gli errori e le imprecisioni fatte da altri, si vede costretta a scartare (o ridurre fortemente negli importi contestati) molti verbali delle Fiamme Gialle, perché le motivazioni degli avvisi d’accertamento devono sempre essere credibili e inoppugnabili. Un conto è sospettare che un contribuente evada le tasse, altra cosa è provarlo in base alle leggi tributarie vigenti e riuscire a farlo pagare. Ecco a mio avviso dove “spariscono” alcuni miliardi di evasione. Qualcun altro svanisce forse per colpa delle Agenzie delle Entrate. Poi ci può essere il merito dei professionisti che difendono i propri clienti innanzi alla giustizia tributaria e riescono a ridurre ancora gli importi contestati. E alla fine quello che rimane non sono che gli spiccioli…. Cioè meno del 10% delle somme contestate in origine. Mi viene un dubbio: non è che anche l’evasione fiscale è un’invenzione di Visco per continuare a tartassarci per benino e recuperare risorse per la spesa pubblica?

venerdì 23 novembre 2007

La tassazione dei redditi delle prostitute. Come il fisco vuole tassare le "lucciole"

Dopo aver letto i giornali nei giorni scorsi fra cui vi segnalo l’articolo del Corsera, che riportano la notizia che la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che ha condannato una ex prostituta al pagamento di circa 70 mila euro di imposte evase, sanzioni e interessi per i redditi non dichiarati negli anni della sua attività, sorgono alcuni interrogativi. Pur non avendo in mano la sentenza vorrei esprimere alcune osservazioni.
Il giudice tributario ha sentenziato che la donna non è riuscita a fornire la prova anche documentale che il suo reddito derivasse effettivamente dall’attività di prostituzione e i relativi ammontari prodotti. Quindi mi pare di capire che il vero problema non è tanto se tassare o meno i redditi da prostituzione, quanto piuttosto la dimostrazione che effettivamente di tali redditi si tratti. In mancanza di prova infatti, il fisco potrebbe tranquillamente pensare che la signora non abbia mai esercitato il mestiere più antico del mondo, ma semplicemente svolto un’attività in nero poi “coperta” con una bugia. Vi dirò di più. Visto che in Italia abbiamo tanti evasori fiscali, vogliamo avere anche altrettanti sedicenti prostitute o “prostituti”, nel momento in cui il loro tenore di vita viene passato al setaccio dalla GDF o dell’Agenzia delle Entrate? Chi non sarebbe disposto a mentire pur di scampare all’accertamento fiscale? A parte il problema morale…
Perciò mi sentirei di tranquillizzare chi svolge quell’attività che non gli verrà chiesto di pagare le tasse sui redditi prodotti. Giusto o sbagliato che sia. Infatti in altri Stati europei le prostitute pagano le tasse e versano i contributi previdenziali. E magari pagano anche l’assicurazione per gli infortuni sul lavoro. Non si sa mai…
A livello processuale tributario, la prova dell’effettivo esercizio dell’attività la si potrebbe fornire esibendo i verbali delle forze dell’ordine in occasione delle “retate” oppure chiedendo una dichiarazione della Questura in cui si indica che la persona è dedita (o lo è stata) alla prostituzione. Forse il problema della donna di Milano lo potrebbero avere le escort di alto bordo, che magari non sono note alle forze dell’ordine. Ma di questo passo potrebbero trovarsi nei guai anche le semplici “mantenute” amanti o simili, che vivono di regali e di generosità (oltre che di amore) che conducono un tenore di vita ben superiore rispetto ai redditi dichiarati. In questo caso chiamare a testimoniare l’amante non è possibile perché nel processo tributario non è ammessa tale prova. Oppure se l’amante stesso, volendo salvare la sua bella, voglia e sia in grado esibire le ricevute delle rimesse che le ha effettuato.
Mi sorge un dubbio: non è che Visco ha trovato un nuovo filone d’oro per rimpinguare le casse dello Stato? Tanto si colpirebbero i ricchi…